Questo post non sarà un libero fluire di pensieri e parole, ma una citazione (diciamo pure "un estratto", data la quantità di cose che scriverò) dal libro "Cinema e Psicanalisi".
"Il significante cinematografico è percettivo (visivo e uditivo).
Lo è anche quello della letteratura, poiché occorre leggere una catena di parole scritte, ma quel significante interessa un registro percettivo più ristretto: solo dei grafemi, una scrittura.
Lo è anche quello della pittura, della scultura, dell'architettura, della fotografia, ma ancora con dei limiti, che sono diversi: assenze della percezione uditiva, assenza, nel visivo stesso, di certe dimensioni importanti come il tempo e il movimento (c'è ovviamente il tempo dello sguardo, ma l'oggetto osservato non si inscrive in un segmento preciso del tempo).
Percettivo è anche il significante della musica, ma anch'esso è meno <<esteso>> di quello del cinema: qua è la visione che fa difetto, e nello stesso ambito auditivo, la parola ascoltata (tranne che nel canto).
Ne risulta insomma che il cinema è più percettivo, di molti altri mezzi di espressione, mobilita la percezione lungo un maggior numero di assi.
[..] Tuttavia questa superiorità in qualche modo numerica, tende a scomparire se si paragona il cinema al teatro, all'opera lirica e ad altri spettacoli analoghi. Anche questi ultimi coinvolgono contemporaneamente la vista, l'udito, l'audizione linguistica e quella non linguistica, il movimento e lo svolgimento reale del tempo. Differiscono dal cinema sotto un altro aspetto: non sono costituiti da immagini, le percezioni che essi propongono all'occhio e all'orecchio si inscrivono in uno spazio reale contiguo a quello che occupa il pubblico durante la rappresentazione. [..] Non si tratta qui del problema della finzione, ma dei caratteri definitivi del significante: la rappresentazione teatrale può mimare una storia oppure no, resta però che la sua azione, per quanto mimetica, è assunta da persone reali che si muovono in uno spazio e un tempo reali, sulla <<scena>> stessa in cui si trova il pubblico. L'<<altra scena>>, che giustamente non si chiama così, è lo schermo cinematografico: quello che si svolge può anche essere più o meno una finzione, ma questa volta è lo stesso svolgimento ad essere fittizio [..].
Così il cinema <<più percettivo>> di certe arti, se consideriamo l'elenco dei suoi registri sensoriali, è ugualmente <<meno percettivo>> di altre arti appena si considera lo statuto di quelle percezioni e non più il loro numero e la loro diversità: perché le sue percezioni, in un certo senso, sono tutte <<false>>. O, piuttosto, l'attività di percezione è reale, ma ciò che viene percepito non è l'oggetto reale, è la sua ombra, il suo fantasma, il suo doppio, la sua riproduzione, un nuovo tipo di specchio [..]. Più delle altre arti, o in maniera più singolare, il cinema ci coinvolge nell'immaginario: la percezione viene sollecitata massicciamente, ma per essere immediatamente capovolta nella sua assenza, che tuttavia rimane il solo significante presente."