Vorrei trovare parole più belle di quelle che ho in mente e che conosco per esprimere ciò che sento...
Oggi mi sono svegliata con uno strano malessere nel cuore...non ho capito subito di cosa si trattasse, poi ho realizzato che siamo esattamente ad un anno da uno dei disastri più incredibili che abbiano mai colpito l'essere umano... Un anno fa, esattamente l'11/03/2011 il mondo ha subito un brusco, inevitabile (almeno in parte), devastante cambiamento.
Il Giappone venne investito dall'onda d'urto di un terremoto di magnitudo 8.9... e 64 minuti dopo lo tsunami portò via e risucchiò nel mare quanto precedentemente raso al suolo.
Fatti più o meno noti, informazioni più o meno rilevanti o giuste e sbagliate sono state, da allora, divulgate nel mondo attraverso web, televisioni, radio... Ma si è sempre più tralasciato il calore umano, i sentimenti di quanti hanno perso molto, o tutto, per far posto alla bieca bramosia di potere, supremazia e denaro.
Ormai a nessuno interessa che siano morte decine di migliaia di persone...
Ma a me importa...e non perché così facendo assumo una posizione, ma perché amo quel paese che non ho mai visto, e vorrei poterlo vedere un giorno. Perché quelle persone meritavano di poter essere salvate e io e altre persone meritavamo, se possibile, per gentile concessione del destino o di chi per esso, di incontrarle...
Un discorso piuttosto astruso, mi rendo conto, e poco obiettivo...per le stesse ragioni uno dovrebbe poter scrivere parole per le vittime di ogni guerra, catastrofe, incidente o cataclisma che accade nel mondo..BENE! perché non farlo?
Nel mio piccolo ho voluto ricordare i giapponesi e non il Giappone... non ho scritto di ognuno di loro, non li conoscevo ovviamente, ma non potrò mai conoscerli....ma il solo pensare a loro li rende reali e vivi, almeno per un po'..
E se può sembrare puerile parlarne esattamente ad un anno dal disastro.. beh, oggi sarò immatura e puerile!!
domenica 11 marzo 2012
sabato 3 marzo 2012
"E adesso cosa faccio?"
Ci sono momenti nella propria vita in cui si realizza di aver finito... finito la pazienza, finito un'avventura, un percorso emotivo, professionale o personale... ed è allora che sorge spontanea, cristallina anche nella mente più annebbiata, la domanda "E adesso cosa faccio?".
Parrebbe la domanda più banale di questo mondo... Ma ovviamente non lo è.
"E adesso cosa faccio?" non si riferisce semplicemente all'atto di "FARE" qualcosa in sé quanto piuttosto al fatto di ricominciare ad "ESSERE" un'altra persona, al cominciare una nuova fase della propria esistenza.
Parlare di fasi, di inizi, di ricominciare fa sempre pensare ad una qualche terapia d'urto da realizzarsi in seguito ad una delusione.. secondo me la nostra vita è costellata di fasi, di nuovi inizi...andare a scuola ha sempre innescato nuove fasi...ogni anno, ogni giorno forse... alzarsi la mattina col piede destro o col sinistro crea nuovi e stimolanti inizi... rispondere ad una domanda...dire sì piuttosto che no, o viceversa....
"E adesso cosa faccio?" non ci assilla la mente solo quando la noia ha il sopravvento sulle nostre abitudini... né ci sommerge quando arriviamo davanti ad un bivio, ad un crocevia, o ad una scelta...però forse ci accorgiamo della sua presenza, sappiamo di porcela effettivamente solo quando siamo ormai nel panico e pensiamo di non avere più tempo per vivere la nostra decisione con serenità..."E adesso cosa faccio?" è una domanda che si nutre della nostra paura di fallire e di sbagliare, si alimenta dell'angoscia che ci portiamo dietro ogni qualvolta che qualcuno ci insinua un dubbio (o quando siamo noi stessi ad insinuarlo)...
Credo sia impossibile smettere di porsi questa domanda del tutto... credo... perché non si basa su un qualcosa di già fatto, non agisce subdolamente alle spalle come "Ma se avessi agito in maniera diversa?"...non agisce nella sfera dei rimpianti.
"E adesso cosa faccio?" è la domanda che ci permette di riflettere su noi stessi..ma allo stesso tempo, se non siamo capaci di concepirla come aiuto piuttosto che come presenza demotivante, è la domanda che più di tutte può paralizzarci...
Parlare di fasi, di inizi, di ricominciare fa sempre pensare ad una qualche terapia d'urto da realizzarsi in seguito ad una delusione.. secondo me la nostra vita è costellata di fasi, di nuovi inizi...andare a scuola ha sempre innescato nuove fasi...ogni anno, ogni giorno forse... alzarsi la mattina col piede destro o col sinistro crea nuovi e stimolanti inizi... rispondere ad una domanda...dire sì piuttosto che no, o viceversa....
"E adesso cosa faccio?" non ci assilla la mente solo quando la noia ha il sopravvento sulle nostre abitudini... né ci sommerge quando arriviamo davanti ad un bivio, ad un crocevia, o ad una scelta...però forse ci accorgiamo della sua presenza, sappiamo di porcela effettivamente solo quando siamo ormai nel panico e pensiamo di non avere più tempo per vivere la nostra decisione con serenità..."E adesso cosa faccio?" è una domanda che si nutre della nostra paura di fallire e di sbagliare, si alimenta dell'angoscia che ci portiamo dietro ogni qualvolta che qualcuno ci insinua un dubbio (o quando siamo noi stessi ad insinuarlo)...
Credo sia impossibile smettere di porsi questa domanda del tutto... credo... perché non si basa su un qualcosa di già fatto, non agisce subdolamente alle spalle come "Ma se avessi agito in maniera diversa?"...non agisce nella sfera dei rimpianti.
"E adesso cosa faccio?" è la domanda che ci permette di riflettere su noi stessi..ma allo stesso tempo, se non siamo capaci di concepirla come aiuto piuttosto che come presenza demotivante, è la domanda che più di tutte può paralizzarci...
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