lunedì 31 ottobre 2011

Orchestra di Gagaku: RYUTEKI



Il Ryuteki (letteralmente “flauto dragone”)(kakkoiiiii *_*) è un flauto trasversale fatto di bamboo.
Il suono del ryuteki rappresenta i dragoni che ascendono al cielo tra le luci celestiali (rappresentate dagli sho) e gli abitanti della terra (rappresentati dall'hichiriki).
Il ryuteki è uno dei tre flauti usati nel gagaku, in particolare per suonare musiche in stile cinese. (Il tono è più basso di quello del komabue e più alto di quello del kagurabue.)
Il ryuteki è tenuto orizzontalmente, ha sette buchi, è lungo 40 cm ed ha un diametro interno del 1.3 cm.


Orchestra di Gagaku: HICHIRIKI



Lo hichiriki (篳篥) è uno strumento a fiato munito di ancia doppia (come l'oboe).
Apparentemente simile al nostro flauto diritto, è formato da un tubo di canna di bambù avvolto in corteccia, nella cui sommità è inserita l'ancia.
Lo strumento è un'evoluzione del bili (attualmente chiamato guan), oboe cinese penetrato in Giappone attorno all’VIII secolo; il nome dello strumento è infatti la pronuncia giapponese degli ideogrammi che rappresentano il bili.



sabato 29 ottobre 2011

Orchestra di Gagaku: SHO



Lo Sho () è uno strumento a fiato ad ancia libera ed è composto da 17 canne di bambù di lunghezza diversa, con le quali si possono ottenere suoni di varie altezze. Appartiene alla famiglia degli organi a bocca. La lunghezza delle varie canne non è legata a ragioni di praticità, bensì di estetica: lo strumento ha infatti un aspetto simmetrico definito "simile alle ali di una fenice" (subarashii ^__^)
Siccome lo Sho è uno strumento che soffre con l'umidità e perde il suo equilibrio, il suonatore di Sho ha sempre accanto a sé un asciugatore elettronico che elimina ogni umidità proteggendo lo strumento e il suo suono.


martedì 25 ottobre 2011

Che cos'è Shomyo?


Che cosa è Shōmyō:
Shōmyō (声明) è il nome giapponese del canto liturgico buddhista e la sua storia in Giappone risale al VI
secolo d.C., con l’introduzione ufficiale del Buddhismo. Il repertorio odierno, appannaggio dei monaci, si
può suddividere in bonsan (梵讃, testo in sanscrito), kansan (漢讃, in cinese) e wasan (和讃, in giapponese).
L’esecuzione, affidata a un solista, a un coro, o ad entrambi in forma responsoriale, è a volte accompagnata
dai cimbali hachi e il gong nyo, o dal “tamburo a fessura” mokugyo (木魚), dalla caratteristica forma
stilizzata di pesce.
Dal X secolo primi segnali di differenti tradizioni esecutive si manifestano a causa della separazione del
culto tra le due maggiori scuole, Tendai e Shingon, i cui padri, sistematizzatori del canto liturgico sono
considerati Ennin e Kanchō. Lo shōmyō continuò a svilupparsi fino al XIV secolo, quando iniziò la fase di
conservazione, perdurata di fatto fino ai giorni nostri. I manuali di canto liturgico sono imperniati sullo
hakase, uno specifico sistema di notazione usato dai monaci che non segue indicazioni ritmiche, né
visualizza le note di passaggio, presentandosi come una sorta di semiografia neumatica (piccole formule
melodiche applicate ad una sillaba).
È possibile capire cosa si intende per Shōmyō dalle parole di Kūkai (空海, 774-835), fondatore della scuola
buddhista giapponese Shingon:
«Quando tutte le cose che hanno una voce in questo mondo la fanno risuonare insieme, mantenendo
ciascuna le sue caratteristiche pur fondendosi in un unico suono, esso è quanto vi sia più vicino alla voce del
Buddha ».

Concerto di Shingon-Shomyo di Koyasan

Solidarietà oltre la frontiera
Concerto di Shingon-Shomyo di Koyasan
con il Coro Gregoriano Viri Galilaei e la Scuola femminile di Otsuma Ranzan

L’Associazione culturale giapponese Tokaghe, in collaborazione con il Comune di Firenze, è lieta di presentare il “Concerto di Shingon-Shomyo di Koyasan”, che si svolgerà il giorno 3 novembre 2011 alle ore 18 presso il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio. Parteciperanno importanti ospiti della delegazione del Buddismo Shingon di Koyasan, della Scuola femminile di Otsuma Ranzan e del Coro Gregoriano Viri Galilaei di Firenze. Il concerto rappresenta un significativo esempio di incontro interculturale e interreligioso ed è aperto a tutti con ingresso gratuito (fino ad esaurimento posti).
La delegazione, dopo il concerto, incontrerà i rappresentanti della comunità civile e religiosa di Firenze, per poi spostarsi a Roma in visita ufficiale alla Città di Vaticano e alla Pontifica Università Gregoriana (dal 5 al 8 novembre).

Organizzatori: Comune di Firenze, Associazione culturale giapponese Tokaghe
Collaboratori: Buddismo Shingon di Koyasan, Scuola femminile di Otsuma Ranzan, JTB , NHK Culture Center, Art Culture Creative Education Center, Coro gregoriano Viri Galilaei di Firenze, Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, Istituto Superiore di Scienze Religiose di Firenze, Pontificia Università Gregoriana, Associazione Culturale VIVERE FIRENZE
Con il Patrocinio di Fondazione Romualdo Del Bianco® – Life Beyond Tourism®, Ambasciata del Giappone in Italia

Programma del concerto:

Dopo l'11 marzo – giorno in cui il terremoto di M9,0 ha colpito il Giappone – la popolazione giapponese ha ricevuto sostegno da tutto il mondo, non solo materiale ma anche di solidarietà e umana condivisione, che ci hanno dato il coraggio per affrontare e superare una tragedia indimenticabile. Adesso il Giappone sta cominciando a camminare sulla via della ricostruzione, con grande riconoscenza a tutti coloro che ci hanno sostenuto.
Il programma del concerto nel Salone dei Cinquecento rappresenta un ringraziamento verso i cittadini fiorentini, una preghiera a tutti coloro i quali hanno perduto la vita in un tale disastro, oltre che un messaggio di solidarietà verso i sopravvissuti, al fine di accendere una “luce di speranza” per il futuro (indicata dalla calligrafia “Kizuna” – solidarietà – preparata dai giovani giapponesi).
Ci auguriamo che tutti coloro che saranno presenti al concerto percepiranno l'energia dei giovani giapponesi che stanno cominciando a camminare verso il futuro luminoso, non dimenticando il calore della vita degli amici scomparsi.
Ringrazio di cuore tutti i collaboratori e sostenitori alla realizzazione di questo concerto.

Art Culture Creative Education Center
Presidente Atsuko Kaneda
(Direttore della musica del “Solidarietà oltre la frontiera – Concerto di Shingon-Shomyo di Koyasan)

Opening: Coro Viri Galilaei
“Canto gregoriano”
1. Surge, própera-antifona
2. Emícat meriídies-Inno
3. Ecce quan bonum-Graduale
4. Kyrie IX-Missa cum Jubilo
5. Veni Creátor-uomini-Inno
6. Hodie Christus natus est-Magnificat

Prima parte: Coro della Scuola femminile di Otsuma Ranzan
“Speranza – vita di calore”
dal Chorale-Solfe (musica di Karl Jenkins)
          1. Preghiera: per gli amici scomparsi
          2. Speranza: vivere insieme
          3. Ringraziamento: essere il fiume di luce

Seconda parte: Shingon-Shomyo di Koyasan
Musica liturgica
Ranryo-o
Shomyo
Shikisyu-nyudo
San-rai
Sha-sui
Sho-rei
Tai-yo
Chu-kyoku
Dai-hannyakyo-tendoku
Shomyo-rai
Taido

giovedì 6 ottobre 2011

PICASSO, MIRÓ, DALÍ .. Giovani e arrabbiati: la nascita della modernità

Tre grandi artisti del '900 si incontrano in una mostra di grande spessore culturale e importante impatto suggestivo. Più di sessanta opere appartenenti alle produzioni giovanili di Picasso, Miró e Dalí si mescolano nelle sale di Palazzo Strozzi, accompagnando lo spettatore in un viaggio alla scoperta degli albori della modernità e degli artisti che l'hanno ispirata.<< Dal passato si impara (..) Retrovie e retroscena di tre vite artistiche intrecciate. >> Così recita il primo dei pannelli didascalici che introducono alcune delle sale, incontrato nell'ampio corridoio che conduce al percorso espositivo.<< 1926, Parigi, Dalí cresce dall'incontro con Picasso e Miró (..) osteggia modernità, impressionismo, rivendica il classicismo >>.


Nella prima stanza viene subito dato ampio spazio alla produzione del catalano Dalí, presentando opere realizzate negli anni '20 come Arlecchino (1926), in cui è evidente il dualismo tra giallo e rosso, molto differente dall'opera omonima dell'altro artista spagnolo presente nella mostra, Picasso; vengono anche mostrati molti ritratti, come Studio per il ritratto di Maria Carbona (1925) o Ritratto del padre dell'artista (1925 ca.).A queste opere, dal sapore ancora tipicamente accademico, la mostra risponde con Strumenti musicali su un tavolo (1925-26) di Picasso, in cui è evidente la pratica di una nuova arte architettonica, basata su linee rette e figure curve, e con Pittura-poema (Musica, Senna, Michel, Bataille e me) (1927) di Miró, da cui invece traspare vividamente la pratica della pittura dei segni, che fa precipitare la forma nel contenuto.


La seconda stanza lascia ancora ampio spazio alla produzione daliniana, mostrando però come la tradizione del disegno accademico stia già subendo gli attacchi formali, contenutivi e ispiratori delle avanguardie degli anni '20; in Fanciulla appoggiata sul tavolo del 1925, nel quale riconosciamo la fanciulla come Anna Maria Dalí, protagonista di Ritratto di mia sorella dello stesso anno, è estremamente visibile questa evoluzione, così come è evidente in opere come Cala nans, Cadaqués (1920 ca.), in cui postimpressionismo, puntinismo e tracce di fauvismo si insinuano nella stesura del colore, e Cadaqués dalla torre di Les Creis (1923), dove è l'ispirazione cubista a dominare.In Cala nans, Cadaqués lo strato di colori è spesso e pastoso, pesante, il ché conferisce sicuramente un'intensità maggiore ai colori. L'ambiente del mediterraneo è reso con tinte accese e brillanti, favorendo l'idea del gioco di luci indotto dalla natura.La mescolanza di avanguardie e tradizione è visibile anche nelle opere di Miró Ritratto di Enric Cristófol Ricart, un collage in cui è presente una stampa giapponese, e Trebbiatura (1918), dove l'uso del colore, intenso e audace, è tipicamente postimpressionista.


La terza stanza si caratterizza per la presenza di sole nature morte. Le opere di Miró e Dalí sembrano presentarsi in un interminabile botta e risposta che riempie la sala di tradizione e modernità mescolate fluidamente in ogni dipinto. In Natura Morta (1923) Dalí dipinge con tonalità cupe, permettendo allo spettatore attento (ma leggibile nella didascalia che introduce la sala) di riconoscere l'importante influenza di artisti come Seurat, Gris e della pittura metafisica in questo dipinto.Ne La spiga di grano (1922-23) di Miró invece è evidente la ricerca dell'essenziale, data anche dalla disposizione precisa e priva di significato dei tre oggetti. I colori sono spenti, privi di qualsivoglia luminosità.

Particolarità della quarta stanza, interamente dedicata a Miró, è la grande opera Balletto parade (costume balletto) (18/05/1917) di Picasso, per la realizzazione di un balletto russo musicato dal grande pianista Erik Satie. Questa enorme opera ci si para davanti, monumentale e impossibile da non osservare, anche solo per il suo essere così diversa dalle opere finora mostrate.


La quinta stanza, anticipata dalla scultura nella sala precedente, è dedicata alla produzione di Picasso, che parte dai disegni e bozzetti degli Ibis (1907), saltando dall'incisione de Il pasto frugale (1904) a quadri come I due saltimbanchi (1901) e Testa di donna (1903).


Nella sesta stanza, la penultima della mostra, sono presentati quadri che potremmo definire i più significativi per quanto riguarda il percorso della modernità nella loro giovinezza.Di Picasso viene mostrato Donna che piange (1937), particolare già presente in Guernica (1936), ma reso più vivo da un diverso uso del colore.Per Dalí è significativamente stato scelto Le rose sanguinanti (1930), quadro dichiaratamente surrealista che sancisce in maniera netta il passaggio del pittore al Surrealismo, corrente della quale diverrà uno dei maggiori e più importanti esponenti. Mirò viene rappresentato attraverso Composizione (piccolo universo) (1933), in cui il cubismo astratto si accompagna a simboli e segni figurativi, determinando senza ombra di dubbio l'allontanamento da qualsiasi forma di accademismo e tradizione.


Al termine dell'esposizione è stata allestita una sala interattiva dedicata al linguaggio visivo della modernità. In realtà la stanza è risultata più essere uno svago per i bambini presenti alla mostra, recatisi lì per passare il tempo mentre i genitori osservavano le opere.
A mio parere una mostra interessante, anche se l'andamento cronologico a ritroso (dal 1926 al 1900, con l'ultima sala che "riparte" dagli anni '30) può effettivamente spiazzare l'osservatore. Molto chiare e semplici le didascalie, in grado di contestualizzare efficacemente le opere e di aiutare il visitatore nel percorso espositivo.

Seppur comprensibili, le critiche rivolte ai due curatori dell'area espositiva di Palazzo Strozzi per aver messo a confronto diretto Joan Mirò e Salvador Dalí con il genio malagueño Picasso, lasciano il tempo che trovano. La mostra è un evento riuscito e popolare, che il 14 Luglio 2011, a soli tre giorni dalla chiusura, presenta una lunga fila di turisti e fiorentini davanti alle biglietterie.

mercoledì 5 ottobre 2011

*O* Luna e stella *

C'era una volta una matrigna la quale, in assenza di suo marito, recatosi a Edo, cercò di uccidere la sua figliastra Otsuki. Le preparò arancini di riso avvelenati, mentre alla propria figlia Ohoshi diede arancini di riso con zucchero, avvertendola. <<Mia cara Ohoshi, mia cara Ohoshi! Bada a non mangiare gli arancini di tua sorella perché sono avvelenati>>.
Quando le due fanciulle si furono allontanate da casa, Ohoshi tirò la sorella per una manica e le disse: <<Cara sorella, andiamo a giocare là?>>. La condusse quindi in riva a un fiume, <<butta in acqua i tuoi arancini e mangia i miei!>> Glieli fece gettare in acqua e le diede metà dei suoi.
Quando sua madre si accorse che Otsuki non aveva mangiato gli arancini avvelenati, studiò un nuovo piano e disse a Ohoshi <<Mia cara Ohoshi! Stasera voglio uccidere tua sorella con la lancia, non dirle nulla!>>
Ma Ohoshi ebbe compassione e disse tutta sconsolata alla sorella: <<Mia cara sorella! Stasera coricati con me nel mio giaciglio!>> E in quello di Otsuki mise una zucca d'acqua piena di succo rosso. Verso mezzanotte, la matrigna scene al primo piano con in mano una lunga lancia e la conficcò nel giaciglio di Otsuki. "Um" fece la lancia, e la punta si colorò di rosso sangue. La donna credeva che Otsuki fosse morta e tornò di sopra a dormire. Il mattino seguente chiamò come al solito <<Otsuki, Ohoshi, su, è ora di alzarsi!>>.
Le due fanciulle risposero allegre come sempre e si alzarono. La matrigna si spaventò: <<Ora non mi rimane altro che abbandonarla sui monti>>, pensò. Diede a un tagliapietre un'ingente somma di denaro e gli fece preparare una bara di pietra.
Poi chiamò a sé Ohoshi e disse: <<Mia cara Ohoshi! Ora faccio portare tua sorella al fiume
lontano tra i monti. Non dirle nulla!>>
<<Come intendi abbandonare mia sorella?>>
<<La faccio portare fra i monti in una bara di pietra>>. Ohoshi corse allora dal tagliapietre e lo pregò di praticare un piccolo foro nella bara. Alcuni giorni dopo, la bara di pietra era pronta e Otsuki doveva essere portata con quella sui mondi desolati. Quando fu sul punto di essere messa dentro la bara, sua sorella le si avvicinò con un grande sacchetto di semi di colza e le sussurrò: <<Mia cara sorella! Getta a uno a uno i semi di colza attraverso il foro. Quando verrà la primavera, la neve si scioglierà e la colza fiorirà e io verrò a salvarti>>.
La bara in cui giaceva Otsuki fu portata al fiume tra i monti selvaggi e interrata. 
Venne primavera, la neve si sciolse, e l'erba crebbe. Ohoshi disse: <<Mia cara mamma, oggi
vado sui mondi a raccogliere sedano, dammi un'ascia!>>. E uscì di casa con un'ascia. 
Dall'estremità del paese fino ai piedi del monte e poi ancora oltre si snodava una gialla fila di fiori di colza. Ohishi seguì i fiori fino a quando ci fu solo un gran silenzio e non si udì più neppure il canto degli uccelli. Si trovava ora in riva a un ruscello dalle acque scure e in quel punto vide i fiori di colza crescere in cerchio. Capì di essere giunta nel punto in cui era sepolta sua sorella. Incominciò a scavare con l'ascia che si era portata appresso e ben presto urtò con fragore contro il coperchio della bara. Ohoshi cercò allora di sollevarlo aiutandosi con l'ascia, ma invano. Lo spinse allora con quanta forza aveva.
All'inizio non ricevette alcuna risposta, poi però percepì un'esile voce: <<Si?>>.
"Ah, vive ancora", pensò Ohoshi, e prese di nuovo forza. Chiamò per nome sua sorella e spinse di nuovo il coperchio con tutte le sue forze. Ed ecco che esso si spostò completamente di lato. Ohoshi, tutta contenta, estrasse sua sorella dalla bara. Essa era cieca, perché aveva pianto giorno e notte. Quando però Ohoshi l'abbracciò, le lacrime del suo occhio sinistro caddero nell'occhio destro di Otsuki, ed ecco che questa poté di nuovo vedere. E quando le lacrime dell'occhio destro di Ohoshi caddero sull'occhio sinistro di Otsuki, anche l'occhio sinistro riacquistò la vista. E quando le lacrime di Ohoshi caddero nella bocca di Otsuki, questa guarì a vista d'occhio e poté piangere a sua volta. 
Ora le due sorelle si abbracciarono e piansero a lungo.
In quel mentre passò il principe che stava andando a caccia con il suo seguito. Quando apprese la loro storia ebbe pietà di loro, le fece montare sul suo cavallo e le condusse al suo castello.
Un giorno, mentre stavano guardando entrambe dalla finestra, videro per strada un vecchio mendicante cieco che, accompagnandosi con una campanella, cantava:

Se avessi con me Otsuki e Ohoshi
Non dovrei suonare la campanella.

Otsuki e Ohoshi esclamarono <<Deve essere nostro padre!>> e lo rincorsero. Era cieco, ma era veramente il padre. Di ritorno da Edo, infatti, non aveva più trovato a casa Otsuki e Ohoshi e per la tristezza aveva cercato le sue figliole per mari e monti.
Ora padre e figlie si riabbracciarono e piansero; e le lacrime di Otsuki caddero sull'occhio sinistro del padre, quelle di Ohoshi sul suo occhio destro. Ed ecco che gli occhi del vecchio poterono di nuovo vedere.
Al colmo della felicità andarono insieme dal principe, che si rallegrò a sua volta e li lasciò abitare per sempre tutti e tre nel suo castello.
E dopo la loro morte, le due fanciulle andarono in cielo e divennero Luna e la Stella più brillante del cielo (Sirio).

La festa dei desideri ^w^

Tanabata Matsuri :3

Un giorno la figlia dell'imperatore, Orihime, era seduta al lato del fiume del cielo (la Via Lattea). Stava tessendo perché suo padre, l'Imperatore, amava i bei vestiti da lei creati. Quel giorno era molto triste, perché si rese conto che era stata sempre tanto occupata da non aver avuto il tempo di innamorarsi. Suo padre Tentei, triste per lei, decise di organizzare un'unione con Kengyuu (colui che visse attraverso il fiume della Via Lattea).
La loro unione fu dolce e felice fin dall'inizio e da allora le giornate di Orihime divennero sempre più felici e ancora più felici.
Un giorno Tentei si arrabbiò moltissimo perché col passare del tempo nella loro unione felice, Orihime stava trascurando la sua tessitura. Tentei decise così di separare la coppia facendo scorrere tra di loro il fiume della Via Lattea. Soltanto una notte all'anno permise loro di incontrarsi: il settimo giorno del settimo mese. Ogni anno quel giorno, dalla bocca del fiume (la Via Lattea), il rematore della Luna porta sul suo traghetto Orihime fino al suo caro Kengyuu.
Se Orihime durante l'anno non compie a dovere il suo lavoro, Tentei manda la pioggia. Quando piove il fiume va in piena e il rematore non potrà usare il traghetto. Tuttavia, in tal caso, uno stormo di Kasasagi provvede a realizzare un ponte sul fiume per far attraversare comunque Orihime. 

L'abito di piume

Oggi ho voglia di proporre ai lettori occasionali del mio blog una serie di splendide leggende giapponesi ^^ spero apprezzerete!

***

Era primavera, e sulle sponde di Mio coperte di pini si udiva il canto degli uccelli. Il mare blu danzava e scintillava ai raggi del sole, e Hairuko, un pescatore, si mise a sedere per godere della scena. Appena si fu seduto, lo sguardo gli cadde su un bellissimo abito fatto di piume, bianco immacolato.
Mentre Hairuko stava per raccoglierlo, vide provenire dal mare una ragazza molto graziosa che gli chiese di restituirle l'abito. Hairuko guardò la ragazza con la più grande e manifesta ammirazione, ma disse:<<Ho trovato quest'abito e intendo tenerlo perché è una meraviglia da annoverare tra i tesori del Giappone. Non posso restituirtelo>>. <<Oh>>, cominciò a piangere la ragazza, <<non posso librarmi verso il cielo senza il mio abito di piume, e se continui a tenertelo non potrò mai far ritorno alla mia dimora celeste. Ti prego, buon pescatore, ti prego, restituiscimi l'abito>>. Il pescatore, che doveva essere un tipo duro di cuore, rifiutò di cedere. <<Più supplichi>>, disse, <<più resterò fermo nella mia decisione di tenermi ciò che ho trovato!>>. Allora la ragazza rispose: <<Ah, caro pescatore, non parlare così! Le mie ali mi sono state rubate e io tento, ma invano, di librarmi verso i pascoli blu del cielo, proprio come un uccello sventurato le cui ali si sono spezzate>>. Dopo altre argomentazioni come questa il cuore del pescatore s'intenerì un po'. <<Ti restituirò l'abito di piume>> disse, <<se prima ballerai per me>>. Allora la ragazza gli rispose: <<Eseguirò la danza che fa girare in tondo il Palazzo della Luna, così che anche un misero mortale come te possa apprenderne i misteri. Ma non posso danzare senza le mie piume>>. <<No>> disse l'uomo, <<se ti do l'abito volerai via senza aver danzato per me>>. Questa affermazione fece arrabbiare moltissimo la ragazza. <<Un mortale può mancare alla sua parola>>, disse, <<ma non c'è falsità nelle creature celesti!>>. Udito ciò il pescatore fu preso da una forte vergogna e senza altre obiezioni diede alla ragazza il suo vestito di piume. Appena la ragazza lo ebbe indossato iniziò a suonare uno strumento musicale e a danzare, e mentre danzava e suonava, cantava del poderoso Palazzo della Luna, dove regnano trenta sovrani, quindici vestiti di bianco quando c'è la luna piena e quindici vestiti di nero quando  c'è la luna nuova. Mentre cantava e danzava, benediceva il Giappone, "affinché la terra possa donargli raccolti sempre più abbondanti". Il pescatore non poté deliziarsi a lungo di questa piacevole esibizione e della bravura della Signora della Luna, perché ben preso i suoi graziosi piedini smisero di muoversi sulla sabbia. Si sollevò in aria con le piume bianche del suo abito che brillavano verso i pini e poi verso il cielo. Salì sempre più in alto, continuando a cantare e suonare, oltrepassò le cime dei monti, ancora più su, finché il suo canto tacque, finché raggiunse il glorioso Palazzo della Luna.