Tre grandi artisti del '900 si incontrano in una mostra di grande spessore culturale e importante impatto suggestivo. Più di sessanta opere appartenenti alle produzioni giovanili di Picasso, Miró e Dalí si mescolano nelle sale di Palazzo Strozzi, accompagnando lo spettatore in un viaggio alla scoperta degli albori della modernità e degli artisti che l'hanno ispirata.<< Dal passato si impara (..) Retrovie e retroscena di tre vite artistiche intrecciate. >> Così recita il primo dei pannelli didascalici che introducono alcune delle sale, incontrato nell'ampio corridoio che conduce al percorso espositivo.<< 1926, Parigi, Dalí cresce dall'incontro con Picasso e Miró (..) osteggia modernità, impressionismo, rivendica il classicismo >>.
Nella prima stanza viene subito dato ampio spazio alla produzione del catalano Dalí, presentando opere realizzate negli anni '20 come Arlecchino (1926), in cui è evidente il dualismo tra giallo e rosso, molto differente dall'opera omonima dell'altro artista spagnolo presente nella mostra, Picasso; vengono anche mostrati molti ritratti, come Studio per il ritratto di Maria Carbona (1925) o Ritratto del padre dell'artista (1925 ca.).A queste opere, dal sapore ancora tipicamente accademico, la mostra risponde con Strumenti musicali su un tavolo (1925-26) di Picasso, in cui è evidente la pratica di una nuova arte architettonica, basata su linee rette e figure curve, e con Pittura-poema (Musica, Senna, Michel, Bataille e me) (1927) di Miró, da cui invece traspare vividamente la pratica della pittura dei segni, che fa precipitare la forma nel contenuto.
La seconda stanza lascia ancora ampio spazio alla produzione daliniana, mostrando però come la tradizione del disegno accademico stia già subendo gli attacchi formali, contenutivi e ispiratori delle avanguardie degli anni '20; in Fanciulla appoggiata sul tavolo del 1925, nel quale riconosciamo la fanciulla come Anna Maria Dalí, protagonista di Ritratto di mia sorella dello stesso anno, è estremamente visibile questa evoluzione, così come è evidente in opere come Cala nans, Cadaqués (1920 ca.), in cui postimpressionismo, puntinismo e tracce di fauvismo si insinuano nella stesura del colore, e Cadaqués dalla torre di Les Creis (1923), dove è l'ispirazione cubista a dominare.In Cala nans, Cadaqués lo strato di colori è spesso e pastoso, pesante, il ché conferisce sicuramente un'intensità maggiore ai colori. L'ambiente del mediterraneo è reso con tinte accese e brillanti, favorendo l'idea del gioco di luci indotto dalla natura.La mescolanza di avanguardie e tradizione è visibile anche nelle opere di Miró Ritratto di Enric Cristófol Ricart, un collage in cui è presente una stampa giapponese, e Trebbiatura (1918), dove l'uso del colore, intenso e audace, è tipicamente postimpressionista.
La terza stanza si caratterizza per la presenza di sole nature morte. Le opere di Miró e Dalí sembrano presentarsi in un interminabile botta e risposta che riempie la sala di tradizione e modernità mescolate fluidamente in ogni dipinto. In Natura Morta (1923) Dalí dipinge con tonalità cupe, permettendo allo spettatore attento (ma leggibile nella didascalia che introduce la sala) di riconoscere l'importante influenza di artisti come Seurat, Gris e della pittura metafisica in questo dipinto.Ne La spiga di grano (1922-23) di Miró invece è evidente la ricerca dell'essenziale, data anche dalla disposizione precisa e priva di significato dei tre oggetti. I colori sono spenti, privi di qualsivoglia luminosità.
Particolarità della quarta stanza, interamente dedicata a Miró, è la grande opera Balletto parade (costume balletto) (18/05/1917) di Picasso, per la realizzazione di un balletto russo musicato dal grande pianista Erik Satie. Questa enorme opera ci si para davanti, monumentale e impossibile da non osservare, anche solo per il suo essere così diversa dalle opere finora mostrate.
La quinta stanza, anticipata dalla scultura nella sala precedente, è dedicata alla produzione di Picasso, che parte dai disegni e bozzetti degli Ibis (1907), saltando dall'incisione de Il pasto frugale (1904) a quadri come I due saltimbanchi (1901) e Testa di donna (1903).
Nella sesta stanza, la penultima della mostra, sono presentati quadri che potremmo definire i più significativi per quanto riguarda il percorso della modernità nella loro giovinezza.Di Picasso viene mostrato Donna che piange (1937), particolare già presente in Guernica (1936), ma reso più vivo da un diverso uso del colore.Per Dalí è significativamente stato scelto Le rose sanguinanti (1930), quadro dichiaratamente surrealista che sancisce in maniera netta il passaggio del pittore al Surrealismo, corrente della quale diverrà uno dei maggiori e più importanti esponenti. Mirò viene rappresentato attraverso Composizione (piccolo universo) (1933), in cui il cubismo astratto si accompagna a simboli e segni figurativi, determinando senza ombra di dubbio l'allontanamento da qualsiasi forma di accademismo e tradizione.
Al termine dell'esposizione è stata allestita una sala interattiva dedicata al linguaggio visivo della modernità. In realtà la stanza è risultata più essere uno svago per i bambini presenti alla mostra, recatisi lì per passare il tempo mentre i genitori osservavano le opere.
A mio parere una mostra interessante, anche se l'andamento cronologico a ritroso (dal 1926 al 1900, con l'ultima sala che "riparte" dagli anni '30) può effettivamente spiazzare l'osservatore. Molto chiare e semplici le didascalie, in grado di contestualizzare efficacemente le opere e di aiutare il visitatore nel percorso espositivo.
Seppur comprensibili, le critiche rivolte ai due curatori dell'area espositiva di Palazzo Strozzi per aver messo a confronto diretto Joan Mirò e Salvador Dalí con il genio malagueño Picasso, lasciano il tempo che trovano. La mostra è un evento riuscito e popolare, che il 14 Luglio 2011, a soli tre giorni dalla chiusura, presenta una lunga fila di turisti e fiorentini davanti alle biglietterie.
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